Roma, 1 a.C.
Ancora una volta Zosimo aveva dovuto lavorare fino a notte fonda.
Artemone si era ritrovato con i suoi amici più intimi per l’ennesimo banchetto. E al termine della serata aveva incaricato il giovane Zosimo di rimettere in ordine la casa. Quelle feste al limite della decenza urtavano da tempo la sensibilità del ragazzo. Egli contava febbrilmente i giorni che lo separavano dallo status di uomo adulto. Era impaziente di arruolarsi nell’esercito per cercare fortuna lontano da Roma. L’impiego di inserviente, che svolgeva da anni, non lo gratificava affatto. Dopo la morte del padre, caduto in battaglia, era stato costretto a farsi carico della propria famiglia. Aveva grandi responsabilità, ma d’altra parte sapeva che molti ragazzi erano meno fortunati di lui.
Negli ultimi giorni un tarlo si era insinuato nella sua mente, non concedendogli un attimo di tregua...
Sua madre aveva formulato un’altra profezia.
Aveva infatti il dono della divinazione. E, a memoria di Zosimo, non aveva mai compiuto una previsione errata. Sosteneva che Roma stesse per cadere in balia di un uomo esecrabile. Questi avrebbe seminato ovunque morte e ingiustizie. Per di più la loro famiglia avrebbe patito un grave lutto.
Il ragazzo, per quanto si sforzasse, era incapace di ignorare tutto ciò.
Intuiva che stava per prendere corpo qualcosa d’inquietante, che avrebbe ridisegnato la storia di Roma. Ma non sapeva di cosa si trattasse. Per questo i suoi giorni scorrevano angosciosi. Non riusciva a raccapezzarsi. Avrebbe voluto proteggere le persone a lui più care, ma l’impotenza prevaleva.
Dopo aver messo in ordine la casa, nel cuore della notte Zosimo s’incamminò mestamente verso la propria dimora.
La notte seguente Artemone rimase a lungo chiuso in biblioteca, finché non ne venne fuori concitato.
Capì di aver trovato una pergamena che avrebbe cambiato la sua esistenza.
Il rotolo era venuto fuori da un polveroso e anonimo scaffale. In apparenza non pareva promettere niente di rilevante. Ma, a un esame più attento, Artemone si era reso conto che era diverso da tutti gli altri. Percepì infatti la portata delle profezie che dispensava. Non avrebbe mai pensato di imbattersi in qualcosa di simile, ma prese atto che un’ignota divinità aveva posato su di lui il suo sguardo benevolo. Affascinanti prospettive erano comparse all’orizzonte della sua esistenza. Avrebbe potuto sfruttare quella pergamena per saziare la sua sete di potere e ricchezza. Dopo aver patito numerose umiliazioni, sentiva che la sua vita era ormai a una svolta.
Volle rendere subito partecipe del ritrovamento il suo coinquilino Plauto. Raggiunta di corsa la stanza dove questi riposava, si avvicinò al suo letto e, scrollandolo, lo incalzò: «Svegliati! E ringrazia gli dèi per la gloriosa vita che ci attende...».
«Cosa ti passa per la mente a quest’ora della notte? Solo un attimo fa, dormivo beato come non mai.»
«Ho fatto una scoperta eclatante. Alzati e seguimi! Non crederai a ciò che ti mostrerò.»
Sistematosi una coperta sulle spalle, Plauto lo accontentò piuttosto malvolentieri. Tuttavia, camminando a grandi passi per i bui corridoi del palazzo, presentiva che un simile entusiasmo dovesse essere giustificato. Si sforzava invano di ricordare da quando non vedeva Artemone così appassionato per qualcosa. Raramente si lasciava andare a una tale euforia. Addirittura, mentre si faceva strada con in mano una lucerna, non riusciva a far a meno di ansimare. E tutto ciò accresceva il mistero alimentato dal ritrovamento. Intanto che si dirigevano verso la biblioteca, Artemone affermò: «Non voglio anticiparti nulla. Consulta il rotolo che ho scovato. E vedrai che merita tutto il nostro riguardo».
«A questo punto sono molto curioso...» Plauto non capiva come un semplice manoscritto potesse suscitare un simile trasporto. Fino all’ultimo non sapeva cosa pensare.
Entrati in biblioteca, Artemone adagiò la lucerna sopra un tavolino, dove era poggiato il prezioso manoscritto. Fra quelle umide pareti regnava un silenzio assoluto, disturbato, di tanto in tanto, solo dal latrato di qualche cane randagio che vagava per le strade di Roma. Subito Artemone invitò l’amico a leggere. Era ansioso di condividere con lui la straordinaria scoperta.
«Rivelazioni sui giorni del glorioso Impero Romano» scandì Plauto, facendo suo il titolo che campeggiava sulla pergamena. Per quanto si applicasse, non riusciva a inquadrare il significato di quelle parole. Cercò il volto di Artemone e questi lo invitò con un gesto a procedere.
«Vediamo... Questo passaggio riporta la data del giorno appena trascorso: Calende di marzo del 753 dalla fondazione di Roma. E noto che vi è un’altra rivelazione relativa a oggi.»
«Già. Ma leggi subito gli avvenimenti descritti. Resterai senza parole.»
«In occasione di una riunione pubblica, Augusto nota qualcosa che lo irrita profondamente. Molti uomini sono vestiti di scuro e non indossano la toga. Prevale in lui l’indignazione per il fatto che i Romani, signori del mondo, non rispettino più gli antichi costumi. Allora ordina loro che da quel momento in poi nessuno osi aggirarsi presso il Foro e i luoghi adiacenti senza aver indosso una toga.» Plauto divenne perplesso. Capì subito che non poteva trattarsi di un’annotazione posteriore a quell’episodio. Altrimenti l’entusiasmo di Artemone non avrebbe avuto alcun senso. Quando comprese che si trattava di profezie, un improvviso fremito scosse il suo corpo.
«Avrai notato che tutto ciò ieri è realmente avvenuto. Ma continua pure a leggere.»
«Di sera, tenendosi uno spettacolo organizzato dai nipoti dell’imperatore, nel Campo di Marte vengono mostrati al pubblico un rinoceronte, una tigre e un serpente lungo nove cubiti. In seguito, durante le esibizioni nell’anfiteatro, il popolo comincia ad agitarsi per timore di un crollo degli spalti. Allora Augusto, per calmare gli animi, va a sedersi proprio nel punto che pareva più pericolante.»
«Come avrai rilevato, quanto è riportato su questo manoscritto si è puntualmente verificato. Ma ciò che a noi più interessa sono gli avvenimenti relativi a oggi. Le rivelazioni sono sorprendenti, come puoi subito constatare.»
Plauto barcollò e si chiese che significato potesse attribuire a quella singolare esperienza. «Chi può aver scritto tutto ciò e da quale fonte lo ha attinto? Quale sortilegio si nasconde dietro questo misterioso ritrovamento? Perché gli dèi ci hanno fatto rinvenire questa pergamena?»
Artemone fece un profondo respiro, poi manifestò il suo pensiero: «In ogni caso l’autore del prodigio mi è favorevole e non intendo lasciar sfumare l’occasione che si profila. Io penso che potremmo modificare il contenuto delle rivelazioni, se solo lo volessimo».
«Tu ritieni che esso si adeguerebbe alle nostre iniziative?»
«Certo. Altrimenti che senso avrebbe questa scoperta? Sarà comunque semplice verificarlo.»
Plauto inarcò le sopracciglia e con uno sguardo severo disse al suo coinquilino: «Non capisco però l’ambizione che leggo nei tuoi occhi. Non hai già ottenuto dalla vita tutto ciò che era possibile desiderare? A scapito di chi vuoi alimentare la tua avidità?».
Artemone mal tollerò quelle accuse e replicò indignato: «Appunto, non capisci... Io ho fatto fiorire le lettere e le arti nell’Impero. I posteri non potranno che celebrare il mio operato. E quale ricompensa ne ho ricevuto? Un onore che non corrisponde minimamente ai miei meriti».
«E vuoi procurarti con la forza ciò che pensi ti sia dovuto?» insistette l’altro che intravedeva guai all’orizzonte.
«Non trarre subito simili conclusioni. Dobbiamo procedere per gradi. Ma ti assicuro che mi prenderò ciò che mi spetta. Cosa è rimasto degli anni di governo che ho condiviso con Augusto? Quando, in occasione di una congiura, è stata messa in dubbio la mia fedeltà nei suoi confronti, tutto d’un tratto ho perso il potere. Non meritavo un simile trattamento. Questa volta dispongo di uno strumento con cui posso sopraffare l’arroganza dell’imperatore. Rifletti bene. Indirettamente posso controllare i suoi stessi pensieri.»
«Queste tue pretese sono assurde.»
«Vuoi suggerirmi di non corrispondere al sortilegio che mi ha chiamato in causa, nonostante gli dèi mi invitino a procedere?»
«È questo che pensi del mio invito alla prudenza?» si schermì Plauto, aggrottando la fronte. Per quanto l’avidità del coinquilino lo disgustasse, non aveva il coraggio di manifestare fino in fondo i suoi pensieri. Voleva evitare di scontrarsi con lui.
«Penso che il tuo atteggiamento sia del tutto insensato.»
«Non mi hai ancora detto quali propositi avresti elaborato.»
«Ti parlerò chiaramente. Voglio ritagliarmi un ruolo di prestigio nel governo dell’Impero» azzardò Artemone, deglutendo. Aveva le idee già chiare su come far fruttare quella straordinaria opportunità.
«Non sai quello che dici» ribatté l’altro seccamente.
«Sei tu a non aver capito di quale strumento io disponga.»
«Ti esorto, in virtù della nostra amicizia, a riflettere bene prima di intraprendere qualche iniziativa avventata. Ritengo che dovresti distruggere questo manoscritto. Non può che essere opera di uno spirito malefico. Lo ha rigurgitato l’Ade al solo fine di procurarti la morte eterna.»
«Non temere. Ho tutto sotto controllo.»
«Tu dici? Quale sarà il tuo primo azzardo?»
«Proprio a questo stavo pensando poc’anzi. Ascolta le rivelazioni relative all’imminente giornata: Durante una passeggiata in campagna, Augusto viene ferito a una gamba da un cinghiale fuoriuscito dalla boscaglia. Diomede, il suo intendente, con un provvidenziale intervento gli salva la vita. E l’imperatore giura di riservare un’infinita riconoscenza a colui che, con sprezzo del pericolo, ha respinto la bestia.»
«Ebbene?» domandò sgranando gli occhi Plauto.
«Sappi che domani sarò io stesso a salvare la vita ad Augusto. E così comincerò a conquistarmi un’incondizionata benevolenza» disse tutto d’un fiato Artemone, che era certo di riuscire nei suoi intenti.
Plauto si rabbuiò in volto e lo ammonì: «A mio avviso uno spirito malefico ha posato gli occhi su di te, e dovresti guardarti bene dall’assecondarne le trame».
«Mi pento di averti rivelato la scoperta. Non capisci affatto la straordinaria opportunità che si è presentata... Vuoi che giunga alla vecchiaia senza aver realizzato alcunché nella vita? Mi consigli di imitare la tua insulsa esistenza?» La sua pazienza stava cominciando a esaurirsi.
«Se è questo che pensi, fai pure come vuoi. Ma io ne resterò fuori.»
«Non ho bisogno del tuo appoggio per corrispondere ai disegni degli dèi!» esclamò Artemone, mettendo termine alla discussione. Era più che mai determinato ad andare fino in fondo.
Egli disprezzava i princìpi che animavano Plauto. Lo considerava un vile e si ripromise di non condividere con lui i beni che stava per procacciarsi. Era il minimo che poteva fare per punire le sue offensive esternazioni. Era ansioso di annientare coloro che avrebbero ostacolato l’appagamento dei suoi desideri. Si pentì di essersi confidato con un individuo che non meritava la sua amicizia. L’eccitazione del momento gli aveva fatto compiere un passo falso. Tuttavia, di lì a breve mise da parte quei pensieri e trascorse il resto della notte vagheggiando un radioso futuro.
Da parte sua Plauto, tornato al suo caldo giaciglio, rifletté a lungo sui guai che attendevano dietro l’angolo il suo coinquilino. Vivevano insieme da alcuni anni e conosceva ogni aspetto della sua natura. Le doti che gli riconosceva erano prettamente fisiche. Infatti, nonostante il passare degli anni, conservava un fascino magnetico. Il suo volto era squadrato e incorniciato da folti capelli castani; gli zigomi sporgevano sul volto scarno. Gli occhi nocciola incutevano un’infinita soggezione. Di statura era piuttosto alto e soleva vestirsi e atteggiarsi con eleganza. Di contro i suoi difetti erano caratteriali, essendo avido, arrivista e incurante dei bisogni del prossimo. In quei frangenti nella mente di Plauto affiorarono numerose domande. Quali sventure avrebbe suscitato il sortilegio di cui era ancora ignoto l’artefice? E quali conseguenze avrebbe comportato per lui in particolare? Era in pericolo il destino del popolo romano o si stava preoccupando per nulla? Mentre era ancora immerso in simili interrogativi, si assopì e la sua angoscia d’un tratto sfumò.
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