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Alessandro Magno e i prescelti venuti dal futuro: Capitolo 1


Era in corso l’anno 2065 d.C.

La macchina del tempo era stata installata poco distante da Atene. In quel punto si riteneva che oltre 2400 anni prima non vi fossero insediamenti.

La calura dell’estate si faceva sentire quando i prescelti s’introdussero nel congegno. L’inquietudine pesava sui loro cuori, pur così preparati all’impresa.

Si erano sistemati sui sedili e attendevano la messa in funzione della macchina.

Tutto era ormai pronto.

Il genio umano ancora una volta stava per segnare il corso della storia.

Terminato il conto alla rovescia, il dispositivo venne attivato. D’un tratto ogni cosa divenne buia intorno ai prescelti. Le vibrazioni li sballottarono. All’oscurità seguirono dei bagliori. Poi risuonarono dei boati che li fecero sobbalzare. Davanti a loro si materializzarono, attraverso una finestrella, delle immagini indescrivibili. Allorché si stavano rassegnando al peggio, cessarono i bagliori e i forti oscillamenti. A quel punto misero a fuoco un paesaggio campestre avvolto dalla nebbia.

Ebbero la sensazione di essere venuti al mondo una seconda volta.

Il primo tentativo di viaggio nel tempo aveva avuto successo. La macchina aveva trasportato Patrick e James nell’epoca stabilita, come attestato dal visualizzatore.

Si ritrovavano ad Atene, nel 335 a.C.

Messo piede fuori dal dispositivo, Patrick si guardò intorno inarcando le sopracciglia. «Finalmente respiriamo l’aria dell’Attica di cui hanno scritto i poeti greci.»

«Già. Ora allentiamo la tensione, poi procederemo verso Atene» disse James.

Per nascondere la macchina del tempo si servirono di rami e fogliame. Quando furono soddisfatti, si concentrarono sulla nuova realtà. Erano pronti a mettere in atto il loro piano. Si trovavano in aperta campagna. Pratici della geografia del luogo, si diressero verso Atene. Portavano sulle spalle delle sacche contenenti i beni essenziali. Avevano denaro in abbondanza. Le monete erano state coniate appositamente. Durante il cammino, comunicarono in greco antico, di cui avevano perfetta conoscenza.

Il paesaggio era molto differente da come appariva nella loro epoca. Dominava la natura incontaminata. L’esistenza dell’uomo era testimoniata solo dai viottoli che stavano percorrendo.

Patrick vacillò al pensiero di trovarsi realmente nel IV secolo a.C. «I nostri sogni si sono avverati. Presto conosceremo Aristotele.»

James condivideva l’entusiasmo. «Ed egli potrebbe condurci al cospetto di Alessandro Magno. Almeno questo è il nostro auspicio.»

A quel punto dell’avventura erano convinti di poter realizzare qualsiasi impresa. Del resto stavano vivendo un’esperienza che non aveva paragoni nella storia. Li pervadeva un’eccitazione mai sperimentata prima, ma non sprecarono parole. Preferirono tenersi tutto dentro, in attesa di verificare quale piega avrebbe preso il loro destino.

Per un lungo tratto non incontrarono nessuno e ciò scalfì le certezze che avevano maturato in precedenza. Più trascorreva il tempo, più si chiedevano se veramente si trovassero in un’epoca del passato o piuttosto fossero vittime di un’allucinazione. Erano in cerca di riscontri che spazzassero via i loro timori. L’ambiente circostante non fu sufficiente a rassicurarli, ma questi pensieri non durarono a lungo. Quando furono vicini alla città, s’imbatterono nei primi segni di civiltà, dalle capanne dei pastori alle dimore dei proprietari terrieri. Allora compresero che il viaggio nel tempo era reale.

Di lì a breve, ebbero un primo contatto umano. Incontrarono un contadino intento a coltivare il suo podere. Dopo essersi stropicciati gli occhi, gli si avvicinarono. Volevano infrangere l’emozione che li accompagnava ormai da qualche ora.

Patrick lo salutò. Poi, indicando la strada che aveva davanti, gli chiese: «Questo sentiero porta ad Atene?»

«Certo» rispose il contadino, mentre scavava dei solchi per incanalare l’acqua che sgorgava da una sorgente. Preso dal suo lavoro, riservò poca considerazione ai due stranieri.

Differente fu lo stato d’animo dei prescelti. Non riuscivano a distogliere da lui lo sguardo. Quando si allontanarono, James diede sfogo al suo spirito d’osservazione: «Hai notato l’accento con cui l’agricoltore ha pronunciato quella parola?»

«Direi proprio di sì. Era davvero inconsueto. Oltre a ciò, mi ha colpito il suo aspetto: la bassa statura e il fisico asciutto e muscoloso. Gli mancavano numerosi denti. Che dire poi della logora tunica che indossava?»

«Le nostre vesti sono più dignitose» rilevò James, osservando il proprio abbigliamento.

Al pari del compagno, indossava una tunica ricca di pieghe e stretta ai fianchi da una cintura. Ai piedi calzava degli stivaletti in pelle. Presi dalle emozioni, solo allora i prescelti fecero caso alla stranezza delle loro vesti. Si dissero che avrebbero dovuto abituarsi rapidamente a quel genere di indumenti, in aggiunta a tutto il resto che li aspettava in città.

Il sentiero su cui procedevano si apriva tra la vegetazione ed era piuttosto malmesso. Dopo alcune ore di cammino, intravvidero dinanzi a sé le porte di Atene. Sembravano aver preso corpo da uno dei loro sogni. In lontananza era riconoscibile il Partenone che si ergeva su un’altura. Quella vista superava le più ammalianti aspettative che avevano coltivato.

Tutto pareva perfetto.

Per godersi appieno quella realtà, accelerarono il passo. Quanto stavano vivendo non aveva prezzo.

Presto si ritrovarono nel trambusto della vita comunitaria. La curiosità li stimolò a scrutarsi intorno. Indugiando per le strade, scoprirono un mondo del tutto nuovo. Furono sorpresi dall’architettura delle case, dalla conformazione delle vie e dal brulicare della vita.

James inquadrò la situazione. «Abbiamo bisogno di qualche ora di riposo. Poi credo che le idee ci si schiariranno. Tutto ciò che stiamo vivendo è sbalorditivo.»

Il compagno annuì. «Hai ragione. Non è semplice reggere il peso di quanto ci è capitato oggi.»

Essendo ormai tarda sera, si preoccuparono di trovare un alloggio per la notte. Sapevano che in quell’epoca non esistevano degli alberghi, ma, piuttosto, delle poco raccomandabili locande. Gli stranieri alloggiavano presso un abitante del luogo che offrisse ospitalità. Chiedendo ai passanti, non faticarono a trovare una sistemazione. Si offrì di ospitarli Markos, un ex cavaliere macedone. Questi non fece troppe domande, ma capì all’istante che stava accogliendo nella sua casa degli uomini facoltosi. Glielo diceva il suo infallibile istinto. Già si chiedeva quali ricchezze avessero con sé.

Aiutati da una lucerna, i prescelti si ritirarono nella loro stanza, che era arredata in maniera semplice. Disponeva di due letti con cinghie di cuoio a fare da molleggio e delle pelli al posto del materasso. Non vi erano lenzuola, ma non mancavano coperte e guanciali. In un angolo si trovava un tavolinetto con una consunta sedia in legno. Di fronte all’ingresso troneggiava una cassapanca.

Entrambi disfecero i propri bagagli, poi Patrick volle descrivere il suo stato d’animo in un diario:

Atene, 25 marzo 335 a.C.

Ci siamo. Non posso fare a meno di pensare che, sotto questo stesso cielo, vivono degli uomini così straordinari da lasciare nei secoli il ricordo di sé. Penso in particolare ad Aristotele che probabilmente, in questo stesso istante, si sta ingegnando nei suoi studi. Quale onore ci attende quando varcheremo la soglia del Peripato, culla della sapienza greca! Chissà se saremo all’altezza del compito che il destino ci ha assegnato. D’altra parte, io, in quanto medico, e James, in qualità di ufficiale dell’esercito, non siamo degli sprovveduti. E, avendo entrambi trent’anni, disponiamo di tutta una vita per realizzare qualcosa d’importante.

Poco fa mi sono soffermato a contemplare la volta celeste. In qualsiasi periodo storico suscita le stesse emozioni. Mi chiedo cosa si nasconda oltre quell’apparenza d’infinito. E poi c’è la luna. Essa, più grande e luminosa del solito, pare accarezzare chiunque la osservi.

Per strada un ragazzino mal vestito mi ha sorriso, e d’un tratto ho avvertito su di me l’immane responsabilità della missione. Davvero io e James saremo in grado di alleviare le sofferenze dell’umanità? Quale sarà il nostro destino? Al di fuori di queste mura ognuno ignora quanto di straordinario è accaduto. La fiammella della lucerna sta venendo meno...


In quegli istanti, in una stanza attigua, Markos s’interrogava sui suoi ospiti.

Egli si era congedato di recente dall’esercito macedone e, all’epoca, viveva di espedienti ad Atene. La sua più grande dote era l’astuzia. Osservando i due stranieri, aveva intuito che erano fuori luogo nel contesto in cui si trovavano. Per questo volle investigare sul loro conto. Mentre discutevano, si accostò alla porta della loro stanza per origliare.

Ciò che udì lo lasciò esterrefatto. Parlavano di una missione e di un viaggio nel tempo.

A cosa alludevano?

Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una risposta. Aveva bisogno di tempo per mettere a fuoco quella realtà. Tuttavia si convinse di essersi imbattuto in qualcosa degno di considerazione.

Nel cuore della notte, i prescelti si sdraiarono sui loro letti. James si addormentò subito. L’addestramento militare lo aveva reso capace di far fronte alle proprie paure. Viceversa, l’ansia opprimeva Patrick. Lo tempestavano mille pensieri. Si chiedeva a quali pericoli, di lì a breve, sarebbe andato incontro. Sapeva che la sua vita era appesa a un filo. In contesti come quello erano frequenti le aggressioni per strada o i rapimenti. Inoltre vi era il rischio di contrarre una grave infezione per la scarsa igiene e le epidemie. E, in assenza di cure, la morte era inevitabile. Poi vi era il pericolo rappresentato dalle zanzare che potevano trasmettere la malaria. L’imprevedibilità del destino fece emergere dei timori fino ad allora latenti.

Dopo qualche ora la stanchezza ebbe il sopravvento e anche Patrick si addormentò.

Markos invece trascorse la notte a riflettere. Non riusciva a chiudere occhio. Verso l’alba trasse le conclusioni: “Non capisco come sia possibile compiere un viaggio temporale. Forse costoro sono semplicemente dei folli. In ogni caso non mi interessa stabilire se sia reale ciò che hanno affermato. Piuttosto mi chiedo quale fortuna si portino dietro. Devo assolutamente impadronirmi dei loro beni. Sono pronto a sgozzarli con le mie mani, pur di ottenere ciò che desidero. Non sarebbe la prima volta che mi imbratto di sangue innocente. Ho sprecato la mia giovinezza combattendo al servizio del re Filippo, e cosa ho ottenuto? Vivo nell’indigenza senza alcuna speranza di riscatto. Non ho voglia di lavorare per mantenermi. Ormai ho quasi esaurito le mie risorse, perciò devo inventarmi qualcosa.”


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